…....coerenza sia nello spazio che nel tempo di esistenza ….. sequenza ecc.
Boh, parole che si leggono da qualche tempo, ma hanno alcun senso compiuto? Mi sarebbe tanto piaciuto approfondire cerando di mettere ordine in quel poco che ho creduto di intendere. Così ho messo insieme queste poche domande, cercando di sintetizzare al massimo, tanto per capire come vi ponete di fronte al problema voi.
Cosa determina in tempo di esistenza di un suono ( poniamolo puro ed impulsivo per una semplificazione che mi pare necessaria, almeno all'inizio)? Il suo livello e la capacità riflessione e di assorbimento dell'ambiente e silenziosità di quest'ultimo (rapporto segnale rumore), possono andare bene come elementi per cominciare?
Cosa succede al primo suono, quando ne genero un altro in contemporanea a pari livello e pari frequenza? Quali alterazioni si manifestano nella percezione dei vari parametri? Aumenta il livello?... sì, va bene, aumenterà la durata, una volta che è cessato l'impulso, ma questo implicherà qualcosa in riproduzione, se l'ambiente è riverberante immagino... per cui, come ci regoliamo col volume, se non vogliamo cambiarne la durata... oppure?... quale strada prendiamo in alternativa?
Seguono ovviamente domande del tipo...
Cosa succede invece, se i suoni generati hanno livelli molto diversi, ma frequenza uguale? Come li distinguo, se non riconoscendoli come generati in uno spazio specifico inserito in uno spazio più grande?
Cosa succede se i suoni generati sono molti ed hanno livelli e frequenze molto diversi tra loro? Idem?
Ahi, qui cominciano altre note e più dolenti ancora..
Cosa determina di la percezione dello spazio in cui avviene la generazione di detto suono, se non lo posso vedere ( parlo ovviamente del caso specifico della riproduzione)? Le eco registrate nello spazio di prima generazione, va bene, ma la mia posizione nello spazio di ascolto non conta? Sì, cosa ne devo dedurre?.. altro?
In fondo non è un problema da poco considerare che il nostro sistema O/C, deve lavorare su suoni che arrivano normalmente a due distinti organi, nello spazio di prima generazione. Nel nostro caso, però, siamo nello spazio di riproduzione, per cui, come li convogliamo, senza far si che i due distinti segnali non interagiscano in maniera deleteria tra loro prima di generare l'opportuno stimolo? Perché se interagiscono tra loro e con l'ambiente, cambia il risultato all'atto della percezione, vero?
Ovviamente il near field non può essere una soluzione
Lo scritto, vuol riferirsi anche a ciò che ha detto DR Paolo nella discussione sull'invarianza e citata da Luca in questa pagina:
C'è da intendersi, su cosa sia il "rumore", quando tentiamo di riprodurre questa sequenza, quanto aggiungiamo o togliamo, non è rumore?
La musica, per l'uomo che ne è fruitore, non è un "campo sonoro" indistinto, ma una storia temporale di istanti di stimolazione neurale, elaborati dal cervello: l'istante n+1 dipende strettamente dall'istante n precedente, e così via e ad ogni istante è associato il proprio rapporto "segnale/rumore" che è strettamente correlato ad esso e solo ad esso.
Originariamente inviato da drpaolo - 31/07/2009 : 00:49:41
Ogni prolungamento del suono oltre l'istante dovuto, non diventa rumore, che copre in parte il suono che dovrebbe presentarsi al nostro sistema O/C nell'istante successivo, snaturandone la percezione?
Idem se lo accorciamo, non si evincerebbero particolari che altrimenti non potremmo/dovremmo sentire per via del mascheramento.
Ciao, Roberto
"Those are my principles, and if you don't like them... well, I have others." - Groucho Marx)