Poi vorrei, se fosse possibile, una spiegazione semplici di termini come
"modale" che sento spesso riferito al jazz "politonale" e "polifonico".
Originariamente inviato da riccardo - 05/10/2007 : 20:19:58
Ciao Riccardo,
ho letto anche gli altri messaggi e magari il libro di Adorno prima o poi lo compro anch'io.
Tanto per cominciare però provo a dirti qualcosa relativamente alle tue domande "precise", non senza aver premesso che la mia conoscenza è piuttosto "abborracciata", nel senso che deriva principalmente da retri di dischi e articoli vari su riviste e internet (oltre a qualche amico).
Comunque ti prometto che cercherò di scrivere solo cose di cui sono (ragionevolmente

) sicuro .
Allora, il termine modale semplicemente identifica scale con intervalli (modi) diversi da quelli delle scale maggiori o minori che tutti conosciamo, sostanzialmente sono scale antiche cadute in qualche modo in disuso.
In pratica quella che chiamiamo musica tonale è una sottoclasse della più ampia musica modale, ovvero usa solo 2 delle diverse possibili serie di intervalli.
Nel jazz "modale" in particolare l'uso di queste scale è semplice e allo stesso tempo interessante, in pratica viene utilizzata una scala per ciascuna nota della tonalità principale.
Cerco di spiegarmi.
Se la tonalità principale (quella degli accordi per intenderci) è il classico Do+ (tasti bianchi del piano) nei soli si potranno utilizzare scale che partono da ciascuna delle note della scala principale, mantenendo ciascuna gli stessi intervalli di tono (TTSTTTS). La sonorità di queste ovviamente sarà diversa, meno "crescente continua" della tipica scala maggiore.
Alcune "alterazioni" frequenti nel jazz (precedente) possono essere ricondotte all'uso (più o meno consapevole) di scale basate su intervalli diversi , ad es STTTSTT (questa l'ho trovata scritta).
Se hai una tastiera prova a suonarla (partendo sempre dal Do) e sentirai quanto è diversa la progressione rispetto alla solita scala maggiore.
Il termine Politonale invece, a quanto ne so io, significa proprio quello che si immagina, ovvero che in una composizione sono utilizzate due (o più) tonalità diverse.
In realtà mi sembra sia davvero poco frequente, l'unico esempio che mi viene in mente è il mandarino miracoloso di Bartok, dove le due tonalità si distinguono molto bene (e infatti è l'unico pezzo nel quale riesco ad accorgermene

).
Il termine Polifonico invece significa solo che la composizione contiene più melodie indipendenti (al contrario di Monodico).
In pratica tutta la musica è polifonica!
Mi rendo conto di non aver detto in realtà quasi niente di inerente al soggetto, concordo però con te che questi dettagli tecnici, che poco hanno a che fare con la musica, è spesso utile "inquadrarli" almeno un poco (come saper polarizzare una valvola?

).
Purtroppo in questo periodo ho davvero poco tempo, ma con il contributo di tutti magari riusciamo (poco poco piano piano come piace a noi

) a circoscrivere, o almeno definire, l'argomento.
Per il momento ciao!
Massimo