Ciao Lucignolo,
Denis, a me pare che il tuo ragionamento, la tua spiegazione, presenti uno iato logico illegitimabile.
A me sembra che, a voler seguire l'approccio che descrivi, si scambi la premessa con la conseguenza.
Mi dici di essere d'accordo, sulla base descrizione del funzionamento (parziale) dell'orecchio da me rozzamente fatta, della sua natura non lineare, e viceversa di quella di sistema lineare del microfono.
Poi però dici che la cosa non fa nessuna differenza.
vedo che non ci intendiamo. Il problema è di fondo, non tecnico. Innanzitutto se non siamo d'accordo su una premessa fondamentale non ci sarà mai un terreno comune di discussione. Ripartiamo dall'utopisitico sistema di riproduzione in grado di riprodurre esattamente il campo acustico dell'evento sonoro originale almeno su un volume sufficientemte ampio da farci entrare comodamente la testa dell'ascoltatore. Sei d'accordo che in presenza di un simile utopisitico sistema di riproduzione sottoporre il nostro sistema percettivo, con tutte le sue peculiarità che ti sei prodigato a descrivere, al campo acustico originario o a quello riprodotto, sarebbe indifferente?
Non vedo come potresti non essere d'accordo, il campo acustico nei due casi è lo stesso, ma vorrei comunque una tua risposta. Se non fossi d'accordo è inutile che leggi oltre, tutto il resto si basa su questa premessa. In questo caso semplicemente bisogna accettare che intendiamo il concetto di "fedeltà di riproduzione" in due modi diversi e quindi stiamo discutendo uno di pere e l'altro di mele. Per me l'ideale di fedeltà è l'utopistico sistema descritto sopra. Irrealizzabile quanto vuoi allo stato attuale della tecnica, ma che determina il punto di arrivo e quindi la strada da seguire per arrivarci.
Dato questo presupposto lo scopo diventa approssimare nel modo migliore possibile il sistema di cui sopra. Per farlo si può confrontare il campo acustico originario con quello riprodotto. Per confrontarli non è assolutamente necessario coinvolgere il nostro sistema percettivo. Il campo acustico originario e quello riprodotto esistono anche se non c'è nessuno ad ascoltarli. E' fisica classicissima, non siamo mica in regime quantistico per cui l'osservazione determina lo stato del sistema.
Se poi il nostro sistema percettivo decide di reagire estasiato quando ascolta il campo acustico originario perché quel giorno è di buon umore e di reagire schifato quando ascolta quello riprodotto perché quel giorno ha le sue cose, o versavice, non è un problema che riguarda il sistema di riproduzione, ne può essere risolto o alterato da esso. Più che riproporgli intatto il campo acustico prodotto all'origine dall'artista il sistema di riproduzione non può fare. A meno che non si voglia far diventare il campo riprodotto esso stesso una *nuova* opera artistica, seppur correlata con l'originale, che magari renda estasiato il nostro sistema percettivo anche quando ha le sue cose. Ma a quel punto sono io a chiederti: alta fedeltà a cosa e in che senso? Quale è a questo punto l'originale da riprodurre in modo fedele? L'emozione che si è sentita dal vivo? Come fai se questa emozione può variare di volta in volta a seconda degli umori del momento e quindi fondamentalmente l'originale non è univoco?
In ogni caso sicuramente non è quello che intendo io per "fedeltà di riproduzione", senza minimamente pretendere che quello che intendo io sia superiore, migliore, preferibile o quant'altro. Semplicemente quello che intendo io è "riproduzione accurata del campo sonoro originario e/o codificato sul supporto", null'altro.
Detto questo, tutto il percorso che va dai microfoni fino ad un istante *prima* dell'ingresso nel nostro sistema percettivo si può ragionevolmente ritenere un sistema lineare tempo invariante. Esiste ampia letteratura in merito e per una parte da buon San Tommaso mi sono pure fatto le prove di persona. DRC si occupa di compensare un tratto di questo percorso, ossia sostanzialmente quello che va dall'ingresso del pre o dei finali, a seconda della configurazione, fino appunto ad un istante *prima* dell'ingresso nel nostro sistema percettivo. Di solito in questo tratto a farla ampiamente da padrone sono diffusori e ambiente, tanto che la compensazione di eventuali componenti elettronici presenti sul percorso può essere ragionevolmente considerata trascurabile. Sicuramente DRC *non* si occupa di compensare quello che c'è dopo l'arrivo al nostro sistema percettivo, non ci prova nemmeno, ne mai potrebbe farlo visto che quello che c'è dopo è terribilmente non lineare e tempo variante come da te ampiamente descritto. Anzi, definirlo non lineare tempo variante a me fa già pensare che sia in qualche modo descrivibile in temini fisici. Io lo definirei più appropriatamente "umorale" e "luna variante".
Il principio di sovrapposizione degli effetti si applica ai sistemi lineari.
E solo a quelli.
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O il sistema è lineare, ed allora vale il principio di sovrapposizione degli effetti (è una qualità del sistema), ed allora posso creare ed applicare degli opportuni filtri; ovvero il sistema non è lineare (come non lo è l'orecchio) e la sovrapposizione non si pùò fare (perché non è una proprietà del sistema), ed i filtri non si possono nemmeno creare, se debbono avere qualche attinenza alla vera risposta del sistema: anche a farla per forza, pianamente e semplicemente non ha alcun senso (matematico, fisico, logico) riguardo ad un sistema non lineare (come, ripeto, l'orecchio).
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La parte del sistema di cui si occupa DRC, che, ribadisco, non include il nostro sistema percettivo che non viene ne misurato ne corretto, è sufficientemente lineare da non inficiare l'applicazione del metodo. Tale parte non è perfettamente lineare, del resto niente al mondo lo è. I diffusori introducono un po' di distorsione armonica, l'ambiente ha anche lui le sue peculiarità, ma usando le tecniche appropriate per fare le misure e operando nel modo opportuno gli effetti collaterali sono sufficientemente contenuti da rendere comunque praticabile il tutto. Quanto noto e quanto ho personalmente provato confermano, se hai prove strumentali che smentiscano sono benvenute.
Poiché l'orecchio non è lineare, e non è tempo invariante (o non tempo variante), qualsiasi risposta risulti al microfono, essa non è rappresentativa del "campo" come sarebbe stato percepito dall'orecchio,
Qui fai tu un errore concettuale. La risposta misurata dal microfono non è rappresentativa della *risposta* dell'orecchio, non del campo che arriva all'orecchio. Ci mancherebbe, il microfono non misura l'orecchio, misura quello che c'è prima. Tale misura è rappresentativa però di quello che c'è *prima* di arrivare all'orecchio, pressione acustica inclusa, che è poi quello che viene corretto. Se il compito è far arrivare all'orecchio quello che c'è sul supporto, come da premessa iniziale, tale misura è sufficiente.
Da li in poi che l'orecchio risponda come meglio crede. Secondo la premessa iniziale governare tale risposta non fa parte dei compiti dell'impianto, DRC incluso. Del resto anche di fronte al suono originale prodotto dall'artista l'orecchio risponde come meglio crede: estasiato nei giorni buoni, schifato in quelli meno buoni, e con tutti i suoi meccanismi interni, alcuni almeno ragionevolmente deterministici e meno "umorali" seppure non lineari, che tu hai ampiamente descritto.
Vieppiù, per riprendere un mio pensiero di un post precedente, tali modificazioni dell'ampiezza e della fase di determinate frequenze a prescindere dal segnale riprodotto, che senso possono - ulteriormente - avere?
Questo cosa vuol dire? Perché la correzione dovrebbe variare in funzione del segnale riprodotto se il sistema che viene corretto, essendo ragionevolmente un LTI, non cambia il suo comportamento in funzione dello stesso segnale?
Se prendiamo ad esempio delle realtà molto più importanti - di sicuro economicamente - della riproduzione audio definibile come "estrema", e mi riferisco in particolare al grande campo di ricerca (e mercato) relativo alle persone audiolese...
Stesso errore concettuale di prima. Li si vuole proprio correggere la risposta dell'orecchio. Ovvio che la faccenda si complica a dismisura. DRC et similia si limitano a correggere la risposta dell'impianto, che si suppone ragionevolmente lineare e tempo invariante. Nel momento in cui non lo fosse a sufficienza avresti problemi ben più gravi da risolvere che non preoccuparti dell'applicabilità o meno della correzione. Tanto per farti un esempio le tecniche di misura usare di solito per la correzione (sweep logaritimico) sono in grado di estrarre la componente lineare del sistema anche in presenza di distorsioni armoniche prossime al 20%. In condizioni come queste ovviamente prima di preoccuparti della correzione devi preoccuparti di ridurre quel 20% entro limiti ben più ragionevoli. Tra parentesi sempre la tecnica dello sweep logaritmico, separando le componenti lineari da quelle non lineari, permette con un'unica misura di valutare proprio se si è entro limiti ragionevoli di applicabilità. Come vedi non si è trascurato nulla, del resto non sono cose nuove, tutto il supporto teorico di base è disponibile da almeno 30 anni.
Se, a dispetto di tutta (o gran parte de) la letteratura scientifica (sia in biologia, sia in elettronica) nota, tu affermassi che ad un sistema non lineare si può ragionevolmente applicare una proprietà esclusiva dei sistemi lineari, per quel che ne so io tu saresti sic et simpliciter in errore.
Me ne guardo bene. Per gentilezza tu hai parlato di "errore", io parlerei senza mezzi termini di castroneria fuori misura.
Dunque, coerentemente con il tuo approccio, alla fine stai riproducendo qualcos'altro dall'originario messaggio incorporato nel supporto, per quanto "brava" possa esser stata l'accoppiata musicista/tecnico di ripresa (nei termini che tu hai specificato).
Qui non ti seguo più. Se sul supporto c'è un campo sonoro, oppure, come purtroppo consente la tecnologia attuale (sigh!), due modesti scalari rappresentanti una pressione sonora, riproducendo nel modo più accurato possibile tale pressione sonora, in che modo mi starei allontanando dal messaggio incorporato nel supporto? Solo quello c'è sul supporto, da cosa mi starei allontanando?
Può essere che si sia, anzi quasi certamente lo si è, parecchio distanti dal campo acustico originario, quello presente prima di entrare nei microfoni, ma purtroppo qui la castrazione viene fatta direttamente dai microfoni, c'è poco che si possa fare dopo. O si tenta di riprodurre al meglio quel poco che rimane dopo tale castrazione, che è quello a cui punto io, oppure si tenta di reinventare in qualche modo quello che è stato castrato, approccio altrettanto nobile e che ha portato anche ad alcune soluzioni davvero interessanti, Ambiophonics per esempio.
Perché, proprio in quanto la musica è emozione come dici tu, tutti noi ascoltiamo la musica per l'emozione che ci da: se ce ne desse un'altra, potremmo rientrare nell'ambito del "godibile", del "soggettivo", nel quello che vuoi, ma non nel "fedele" (a qualsiasi cosa si tratti). Non credi?
Qui però nasce un problema gigantesco: tutti gli aggeggi con cui ci piace tanto giocare non sono in grado di registrare, codificare, veicolare e infine ricreare "emozioni". Niente al mondo è in grado di farlo con la tecnologia attuale. Quegli aggeggi veicolano sotto varie forme solo segnali rappresentanti dei suoni, segnali che una volta ritrasformati in suono si spera che riescano a ricreare almeno un poco della emozione originale. L'emozione però è un qualcosa che si ricrea nella nostra mente "stimolata" proprio da quei suoni, nel supporto non c'è. Ora, può darsi benissimo che si possa sperare di ricreare le stesse emozioni originali anche senza riprodurre accuratamente gli stessi suoni originali. Magari ci si può riuscire perfino meglio, non lo so, da tecnico mi occupo di quello che conosco, e le emozioni le sento per come sono, non sono certo in grado di spiegare come si formano ne di controllarne la formazione, sempre ammesso che si possa farlo. Francamente però procedere cercando di riprodurre le emozioni senza però riprodurre accuratamente i suoni che le "stimolano", seguendo quindi una strada da "fedeltà alle emozioni" e non solo e semplicemente al suono, mi sembra veramente un'impresa titanica. Lo è tantopiù per i mille frizzi e lazzi del nostro sistema percettivo, che rende qualunque valutazione sul risultato quantomai aleatoria.
Però non si sa mai, magari sono solo miei limiti. Personalmente nemmeno ci provo. Poi ho troppa reverenza nei confronti di chi è in grado di produrre arte da permettermi di toccare quello da loro prodotto, foss'anche con nobili intenti. Per me sarebbe come fare i baffi alla Gioconda.

Mi limito a riprodurre il suono al meglio delle possibilità offerte dalla moderna tecnologia, di cui francamente la stereofonia appare sempre di più come il lato più debole. Fin'ora questa strada mi ha dato grandi soddisfazion anche sul piano emotivo. Magari per un colpo di pura fortuna, magari perché, come accennavo, gli artisti che ascolto io sono bravi a condensare in quei due miseri scalari tutto quello che serve per titillare nel modo giusto le mie papille gustative. Questo però non ha niente a che fare con la questione meramente tecnica dell'usare la correzione per tentare di approssimare al meglio il suono presente sul supporto. Suono, neh? Non emozione.
Saluti,
Denis Sbragion