Devi tenere presente una cosa: i sistemi digitali in un certo senso consentono di "conoscere il futuro". E' questo che consente di introdurre la correzione prima che l'errore venga fisicamente introdotto dall'ambiente facendo però in modo che tutto si "sommi" nel modo giusto nel punto di ascolto, e in modo "sufficientemte giusto" in un suo intorno sufficientemte ampio da non costringere ad ascoltare con il cranio inchiodato. Spiegarlo a parole senza la necessaria teoria purtroppo è piuttosto complicato, ti prego di prenderla come viene.
Innanzitutto vorrei dire che è vero, ci sono stati alcuni fraintendimenti tra di noi, credo molto dovuti alla mia ignoranza per quanto concerne la matematica della teoria dell'informazione, di Shannon (chi era costui?), di filtri, di convolutori e quant'altro. E me ne scuso (se conosci testi introduttivi in rete, segnalameli!).
Detto questo cappello (da tenere dunque io per primo sempre presente), la possibilità di "predire il futuro", per usare questa tua espressione carina, fa conto sulla sovrapposizione degli effetti: prendo una funzione e la sua inversa, se le applico in sequenza allo stesso segnale l'effetto è nullo.
Ed è quanto tu misuri con il microfono.
Ma (semplificando con l'accetta), una volta applicato il filtro, il microfono finisce nella sua custodia, e ti siedi tu ad ascoltare. E questo a me sembra fare una differenza esiziale.
Come ribadito da alcune persone di questo forum nel corso degli ultimi thread, il meccanismo di percezione dei suoni è molto più elaborato di quello pertinente un semplice microfono o di un fonometro.
Già solo la coclea (escludendo per semplicità il cervello dunque) è un complesso sistema di trattamento dei suoni, che contribuisce attivamente alla loro percezione, un vero e proprio "processore di segnali".
Come noto, questa sorta di "processore" è in grado di trattare una vasta gamma di stimoli, da quelli molto deboli a quelli molto forti (da circa 0 dB a circa 120 dB), che corrispondono ad un ambito dinamico più grande di quello incidibile su di un CD. Su questo ambito dinamico la coclea adopera poi una complessa strategia di filtraggio per amplificare in modo selettivo il suono.
Nella coclea le caratteristiche dell'amplificazione e dell'uscita vengono guidate dalla percezione e non da unità di misura fisiche.
Come credo forse a te già noto, quando entra nell'orecchio un suono provoca delle variazioni di pressione che fanno vibrare prima il timpano ed in conseguenza la catena degli ossicini. Questa energia viene trasmessa tramite la cd. finestra ovale nella coclea, lungo la quale un’onda di compressione fa vibrare la membrana basilare, e da qui si propaga all'organo del Corti – struttura recettrice appoggiata sulla membrana basilare –, che ha tutta una serie di sensori, le cellule ciliate.
Quando i movimenti della membrana piegano le ciglia di queste cellule, si generano gli impulsi nervosi, che vengono poi inviati alle aree della corteccia uditiva (e che lascio da parte).
I suoni complessi (come il parlato o la musica) che siamo in grado di udire vengono analizzati in coclea in primis sulla base della loro frequenza. Si parla infatti di "organizzazione tonotopica" della coclea stessa, ossia della localizzazione frequenziale in zone specifiche della membrana basilare (e poi della corteccia uditiva).
Peraltro quando un tono puro raggiunge l’orecchio la stimolazione non si limita ad un solo punto nella membrana basilare, ma si diffonde in un ambito di una certa grandezza, tanto che altre frequenze nelle vicinanze del punto caratteristico dell’onda sinusoidale vengono influenzate.
Si può parlare in questo caso di filtro di banda con frequenza mediana definita e con pendenza variabile. L'intera coclea può essere definita come una serie di filtri passabanda, che coprono l'intero ambito delle frequenze percepibili dall’orecchio umano (questi filtri cocleari vengono chiamati "bande critiche").
Se si immagina di riuscire a "srotolare" linearmente la coclea, allo stato delle conoscenze attuali si ritiene che solo nell'ambito udibile del parlato (fra 125 Hz e 10 kHz), essa già comprende venti filtri cocleari (ciascuno misurante poco più di 1mm).
L'ampiezza di banda relativa a ciascuno di questi dipende oltre che dalla frequenza di riferimento (secondo un andamento in prima approssimazione "quasi" logaritmico) anche dall'intensità dello stimolo.
I filtri hanno peraltro pendenze asimmetriche: non solo ma, come detto poco sopra, le pendenze sono pure variabili, per cui sia l'ampiezza di banda di ciascun filtro cocleare, sia anche le due pendenze di ciascuno, varieranno in maniera non lineare in funzione sia della frequenza d'eccitazione che della concreta intensità.
Gli impulsi nervosi dei diversi neuroni uditivi così eccitati sono interattivi ed interdipendenti tra loro: i filtri infatti sono sovrapposti e collegati fra loro.
Ora che tutta questa complessa strategia di trattamento, escludendo la funzione di trattamento effettuata dall'orecchio esterno e quella di elaborazione della corteccia, a me sembra non possa essere modellizzata con pressoché l'unico aiuto della risposta (lineare) di uno strumento (appunto lineare) come un microfono.
Con il microfono, che reagisce agli stimoli in modo diverso, la somma degli effetti, la predizione del futuro, è reale ed efficace.
Con l'orecchio che così non si comporta, questo medesima risposta complessiva è (IMO) solamente priva di senso: se posso usare un'immagine forse fuorviante, è un po' (quasi) come guidare un'automobile bendati.
Non capisco questa tua affermazione. Passare da una risposta in frequenza che fa +- 10dB in banda utile ad una che fa +- 2 dB è un peggioramento dell'accuratezza? Passare da una risposta in fase che si arrotola su se stessa N volte, con N grande a piacere, ad una ragionevolmente lineare, a parte qualche capriola residua in gamma bassa, è un peggioramento dell'accuratezza? Passare da un risposta all'impulso più o meno gibbosa ad una che assomiglia ragionevolmente ad una delta di Dirac, almeno sul suono diretto, è un peggioramento dell'accuratezza? Forse intendiamo la parola "accuratezza" in due modi sostanzialmente diversi.
Circa la tua ultima frase, si anche a me pare sia così (il che non vuol dire nulla sui rispettivi modi, SPECIALMENTE riguardo alla accezione con cui la usi tu: metto in conto di poter prendere bellamente una gran cantonata!).
Comunque, per quanto detto sopra, il modo in cui (io ho capito che) tu intendi la "accuratezza" a me non sembra adeguato al come l'essere umano percepisce ed elabora la musica (registrata su supporti stereofonici) fruita in un ambiente domestico.
Dunque concordo con te che tutto quello che hai segnalato come miglioramento dal punto di vista strettamente fisico lo sia (o meglio, che se l'ipotesi di partenza è perseguire una certa linearità di una qualche particolare risposta, essi sono dei miglioramenti): però mi (e ti) domando ancora, cui prodest, visto che non ho due cardioidi spaziati da una scatola cranica, ma due orecchie collegate poi ad una corteccia cerebrale?
Peraltro, lo ribadisco, metto altresì in conto che COMUNQUE l'effetto dell'applicazione dei filtri (per come, con cortesia, hai cercato di spiegarmi) possa poi produrre un effetto definibile come benefico, o piacevole, o in ogni caso utile alla fruizione della musica in tale contesto. Ma questo io sono portato a ricondurlo nell'ambito della categoria della "godibilità" e non della "fedeltà" (e ci sarebbe da discutere molto sul fedele a che cosa). E daltronde mi è parso, leggendo gli altri tuoi interventi, che anche tu consideri un trattamento passivo dell'ambiente di ascolto (lascio da parte il "come", argomento quantomai complesso) come (almeno potenzialmente?) la strada maestra per la correzione delle alterazioni dovute all'interazione diffusori-ambiente-ascoltatore. O ti ho frainteso?
Sig. Sbragion? Da quando su Internet ci si da del lei?

Mi fai sentire vecchio...
Originariamente inviato da Denis Sbragion - 11/05/2007 : 17:34:58
Ok, Denis.
E sempre grazie per le tue spiegazioni!
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Ciao, Luca