Quando però si cerca di teorizzare, qualcosa lo vorrei dire.
Per carità Massimo (posso chiamarti Massimo?), la devi dire.
Come ho premesso nel mio "primo" intervento, mi sono esposto, pur non avendone i requisiti, solo perché nessuno, di quelli che sembra li abbiano, ha provato ad andare oltre lo scambio d'artiglieria, o i dinieghi non motivati (e ripeto, basta poco per notare che sono stato passato al tritacarne da x, quindi non ho certo motivi estranei alla volontà di capire).
Secondo me il tuo testo che ho riportato semplicemente è sbagliato.
Detto questo, anzi, proprio perché ho detto questo, io non sto teorizzando nulla (non ne sono in grado), ho solo ragionato sulle obbiezioni mossemi altrove che ora integralmente ti riporto: magari le ho semplicemente capite, elaborate male
La non invarianza dipende SOLAMENTE dal mascheramento il quale può essere per suono correlato o scorrelato ma è il mascheramento che fa si che i suoni che GIUNGONO alla "elaborazione" dipendono da tutto quello che era presente fino al momento considerato ovvero dalla SEQUENZA onnero dalla STORIA SPAZIO TEMPORALE che come più volte detto E' la definizione corretta di suono musicale che non è definibile come un aggregato di armonici.
Tu dici che il testo mio era semplicemente sbagliato ma, per come ho capito io, non mi hai detto dove.
Anzi, per citare non mi ricordo chi

: "ditemi quello che ho detto e vi aiuterò a capirlo meglio".
Peraltro, pur chiamando la "non invarianza" con il termine "soggettività", a me pare che poi tu abbia sostanzialmente ripetuto lo stesso ragionamento, arrivando ad un concetto che io giudico sovrapponibile al mio, e cioé che se il termine finale è l'ascoltatore, la situazione è diversa rispetto a quella in cui ci sia al suo posto un microfono. L'uomo rivela la condizione di "soggettività", il microfono no. Risostituendo idealmente a "soggettività" l'espressione "non invarianza", l'identità di pensiero mi appare chiara.
Quindi mi confondo leggendo il tuo "è semplicemente sbagliato".
Il punto dirimente a me invece sembra la tua premessa di non veder il motivo di definire qualcosa come "non invariante" se prima non ti si "dimostri" che ci sia un "invariante" negato (se non ti ho capito male).
Da quel che capisco io, *questa* è la vera obbiezione.
E sempre da quel che capisco io, allora essa non ha nulla a che vedere col mio testo da te riportato (che solo presuppone l'ipotesi di non invarianza, e che in base a tale ipotesi a me invece pare corretto).
Semmai la tua obbiezione avrebbe più a che vedere con il mio post precedente, in cui rispondevo a te, ed a cui non l'hai mossa specificatamente.
Se dunque è questa la vera obbiezione, io proverei a ricapitolare quanto ho detto nel primo messaggio, così magari puoi indicarmi dov'è che c'è un errore, dove non c'è l'invarianza, o dove manchi la negazione dell'invarianza. Perché, secondo me va chiarito, tu usi il termine "invariante" (nome), ma qui non c'è un "invariante" (nome) negato, un "ente": come nelle premesse iniziali del mio primo post, qui c'è un principio, una condizione di invarianza temporale negata. Il principio di invarianza temporale != invariante ("ente", come il il tensore energia-quantità di moto dei miei esempi).
Nel mio primo post, ho cercato di portare un esempio per aiutarmi a visualizzare, quello di un sistema a tempo discreto che sia lineare tempo invariante, o LTI, Linear Time-Invariant, un argomento che credo sia noto a quegli ingegneri qui presenti che abbiano studiato i circuiti e gli algoritmi per il trattamento dei segnali.
Tale esempio/modello non è quindi un concetto introdotto o inventato da x.
Ho preso la definizione di cosa sia un sistema a tempo discreto lineare tempo invariante da questi signori dell'Università di Verona:
Davide Rocchesso e
Pietro Polotti
e l'ho descritto in base alle tre proprietà/condizioni indicate dagli stessi.
Ho "definito" (almeno in senso atecnico, analogico, correggetemi, nel caso), per i nostri scopi, come "sistema" un qualsiasi blocco di elaborazione che, presa in ingresso una sequenza di campioni x(n), produce in uscita una sequenza di campioni y(n).
E' una definizione sufficiente per i nostri scopi? Vediamo: a naso (solo a naso io posso dirlo), e proprio per la sua generalità, al momento direi di si.
Altrettanto mi pare che si possa definire in maniera sufficiente un segnale (qualsiasi) come una sequenza di campioni ordinata nel tempo (rappresentazione nel dominio del tempo).
Prendiamo dunque un "sistema" fatto così: e se i campioni vengono da una serie temporale, abbiamo un sistema a tempo discreto, ma i principi descritti si possono generalizzare anche al caso di segnali di variabile continua (come dicono i tizi dell'Università di Verona).
Ho detto: poniamo altresì l'ipotesi che questo "sistema" sia (debba essere) lineare.
Come deve essere il "sistema" per dirsi lineare?
Anche qui non ho inventato, ho solo letto cosa veniva detto: un "sistema" (descritto in quel modo generale) è lineare se per esso valgono tre principi/condizioni.
1) vale il principio di sovrapposizione degli effetti.
Non ho riportato la matematica indicata (sempre per prudenza dovuta all'ignoranza), ma te la riporto ora: se y1 e y2 sono le risposte del sistema agli ingressi x1 e x2 allora la risposta all'ingresso composito a1x1+a2x2 è l'uscita composita a1y1+a2y2
2) vale il principio di invarianza rispetto al tempo.
Cosa si intende con ciò? Sempre solo riportando, ho scritto che un sistema è invariante rispetto al tempo se la traslazione temporale di D campioni del segnale di ingresso produce una identica traslazione nel segnale di uscita, cioè x(n - D) produce in uscita y(n - D).
A questo punto ho chiosato (riprendendo ovviamentela specificazione originaria): un "sistema", supposto lineare, per cui vale il principio di invarianza rispetto al tempo si dice LTI, linear time-invariant. Arriviamo al terzo principio dei sistemi a tempo discreto/continuo LTI.
3) Vale il principio che detti "sistemi" LTI possono essere descritti completamente dalla risposta che forniscono ad un impulso di ampiezza unitaria.
Quando un tale "sistema" viola la condizione 2) di invarianza temporale?
Laddove il sistema cambia le proprie caratteristiche nel tempo.
Fin qui x non c'entra niente, abbiamo un sistema lineare tempo-invariante compiutamente descrivibile dalle leggi della fisica.
A questo punto si fa l'ipotesi posta da x, l'ipotesi falsificabile.
L'ipotesi è che il "suono musicale" (e cioè un segnale codificato stereo inciso su un supporto contenente un brano di musica) non sia (rispetto all'uomo) un semplice aggregato di armonici, ma una sequenza ordinata nel tempo di suoni ciascuno con un proprio tempo di esistenza (comprensivo di attacco, durata, decadimento).
E' questa definizione astrattamente compatibile con quella di sistema a tempo discreto/continuo LTI? Vediamo: in linea di principio si, i campioni in ingresso saranno rappresentativi di una certa quantità di tempo.
Proviamo ad applicare il modello all'impianto di riproduzione: diciamo che il campione in ingresso sia un suono nell'attimo in cui "lascia" il cono ed inizia a trasmettersi attraverso l'aria. Rappresentato nel dominio del tempo è già caratterizzato da un "tempo di esistenza" (come detto comprensivo di attacco, durata, decadimento) così come già registrato sul supporto (CD, LP, etc). Passiamo al secondo campione, a sua volta caratterizzato da un proprio "tempo di esistenza" che è in un già determinato rapporto con il campione precedente. Cosa succede se il "tempo di esistenza" del primo campione emesso è diverso (non *limitatamente* all'influenza dell'ambiente, ma in generale) da quello "originale" (inciso)? Succederà per esempio che è durato troppo poco, o troppo e quindi si sovrapporrà in modo diverso al "tempo di esistenza" del secondo campione. Torna indietro al momento dell'emissione del primo campione da parte dell'altoparlante: considera come momento di "emissione" non questo, ma ad esempio il momento in cui quel primo campione è stato letto sul disco dalla puntina: la cosa è (mi pare) la stessa. Sul disco c'erano "programmati" dei tempi di esistenza, che se sono variati non sono più nel loro rapporto originario fra di loro. Ora moltiplica i campioni (aumentando a dismisura la ns. ipotetica frequenza dei campioni), rendi il segnale continuo: hai una (possibile) immagine del suono che maschera se stesso.
Che effetto ha sul sistema come sopra definito? Abbiamo definito la invarianza temporale del sistema quella proprietà per cui la traslazione temporale di D campioni del segnale di ingresso produce una identica traslazione nel segnale di uscita, cioè x(n - D) produce in uscita y(n - D).
Dunque sul disco c'era tra 2 campioni una distanza D: ritrovo questa stessa distanza D (che, se non mi confondo goffamente, è un tempo, perché stiamo parlando di un sistema a tempo discreto/continuo, rappresentato nel dominio del tempo) nei campioni in uscita?
Vado dunque a vedere l'uscita: siccome D era a sua volta un tempo, se sono variati i "tempi di esistenza" dei singoli campioni, la differenza temporale degli stessi è variata, e sarà E. Se il primo campione doveva durare 2sec ma invece dura 3sec, ed era a distanza D di 2sec dal secondo campione, D era in ingresso di 0sec, ed invece in uscita la distanza è di E -1sec: si sono sovrapposti. Ecco (per me) violata la non invarianza del sistema, e come la non invarianza coincida con il mascheramento.
Analizziamo il blocco d'uscita: se è un microfono, ci si accorge di qualcosa? No. Il microfono riporta fedelmente tutti e due i suoni, ma nulla ci dice dell'alterazione della loro "distanza" temporale rispetto all'ingresso. La fisica non descrive affatto questo fenomeno che nella descrizione che ho fatto mi pare invece avvenga.
Consideriamo ora come blocco di uscita l'ascoltatore umano.
Come mostrato dal dr. Paolo Caviglia il segnale stereo contiene tutta una serie di informazioni, per es. spaziali che, in una rappresentazione nel dominio del tempo, sono tutte "entro-contenute" nei tempi di esistenza dei suoni e nei loro reciproci rapporti. Una alterazione di questi tempi e rapporti, rispetto al segnale originario, porta a sentire l'ascoltatore umano un suono lì, invece che là, alto invece che basso, etc.
L'ascoltatore umano, per via della ricostruzione che fa delle informazioni che il microfono, evidenzia la non invarianza costituita dal suono che maschera se stesso.
E, se non c'è l'invarianza, allora cade la costruzione del modello come sistema a tempo discreto/continuo lineare tempo-invariante: nel cervello dell'ascoltatore niente sovrapposizione degli effetti, nessun impulso descriverà mai in maniera univoca il comportamento, la legge del "sistema": in conseguenza, nessuna legge fisica sarà in grado di dirci cosa accade.
OH! (© by gluca) Tutto quanto ho detto va interpretato entro ben precisi limiti. Tutto questo, per quanto ne so, NON è la teoria di x, che immagino possa essere descritta in maniera matematicamente rigorosa: è, come detto l'altro giorno in premessa, un esempio, o meglio un aiuto alla visualizzazione dell'impostazione data da x a certi problemi.
La soggettività (o soggettivanza come qualcuno dice saccentemente) ci fa dire questo mi piace, questo no. La non invarianza ci porta a dire cose diverse: le informazioni spaziali, l'immagine immaginaria dei suonatori, della cantante, dei passi nella stanza, sono cambiate e cambiate in un modo non congruente, cioè in maniera da non potersi riportare all'evento come inciso. Cosa significa praticamente non congruente? Provo ad aiutarmi ancora per immagini. Non ricordo in quale thread, né quale poster di audifaidate, abbia fatto un esempio molto simile: se in una stanza ci fossero due uomini, uno di fronte all'altro, e ad una certa distanza fra di loro, se uno dei due parlasse ma senza che la "sensazione" della sua voce fosse riferibile da parte dell'altro alla bocca del primo (per mezzo di un trucco qualsiasi, per esempio perché in qualche strano modo ventriloquo, o perché il suono provenga da altoparlanti nascosti, etc), quale sarebbe la reazione dell'uomo che ascolta? Se fosse al corrente del trucco (qualunque sia) o comunque lo potesse immaginare, reagirebbe in un modo "controllato" allo strano effetto, se ne farebbe capace, entro un tempo ragionevolmente breve magari. Se non fosse al corrente del trucco, se non avesse alcun strumento intellettivo per elaborare l'effetto, sarebbe nel caos perché alla sua percezione uditiva non corrisponderebbe (non congruisce a) nessuna regola di esperienza (così come tutte le volte che abbiamo contrabbassi di tre metri e cantanti femminili tutte col buchino in mezzo agli incisivi, vorrei chiosare: ma mi astengo, sarebbe una battuta la mia).
Ecco perché, io credo, x parli poi di "caoticizzazione della storia spazio temporale" (o espressione simile, mica me lo ricordo).
Che poi il mascheramento sia un fatto vero, rilevabile da uno strumento di misura (microfono) non vedo cosa c'entri e peraltro è argomento ben trattato quanto meno negli studi sulla compressione dei dati (non loseless).
Originariamente inviato da mr2a3 - 22/03/2007 : 09:30:03
Attenzione Massimo: come sopra forse evidenziato, io non ho mai detto che il mascheramento sia rilevabile da un microfono, anzi, ho detto (forse a torto) l'esatto contrario. Ho detto che il mascheramento per suono correlato è, coincide, con la causa di non invarianza del blocco di elaborazione uomo (per quel che ho capito!).
Un microfono rileva solo un particolare modo di emissione, e per quante volte ripeta la misura avrò dei dati ragionevolmente confrontabili attraverso misure, leggi fisiche.
In caso ci sia un uomo, in presenza di mascheramento (che c'era pure prima, pur non rivelato), invece no, i dati delle misure (ascolti?) non saranno più tra loro "confrontabili" (per mezzo di leggi fisiche?).
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Ciao, Luca