Son of Zen - Roberto Amato
Introduzione | |||
Questo è il primo degli articoli-proposta che abbiamo pensato di pubblicare: vorremmo in questo modo mostrare che l'autocostruzione in campo audio può essere una sintesi di capacità tecnica, gusto estetico, cura artigianale, tale da poter competere ad armi pari con il migliore design, e con risultati sonori che ponderati con attenzione, ricercati con cultura, equilibrio, e conoscenze tecniche, possono rappresentare anche un sicuro riferimento. Nel rispetto di questa "filosofia", iniziamo proponendo una realizzazione esemplare che ha ben figurato al Top Audio.... L'autore di questo lavoro è Roberto Amato, titolare della System and Magic di Roma, progettista dei filtri Black Noise www.systemsandmagic.com qui in veste di autocostruttore... Riccardo Romagnoli |
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Son of Zen | |||
Prima di saltare a piè pari al progetto argomento di questo articolo spenderei due parole sul concetto del "fai da te" ritenuto a torto o a ragione inferiore alle realizzazioni commerciali. Vorrei quindi dire ciò che è, a mio parere, realmente, nella sostanza, e non solo nell'apparenza il vero DIY. Acronimo inglese di "Do It Yourself", "fai da te" nell'uso comune o più letteralmente, "fattelo da solo", riguarda semplicemente quell'insieme di attività, per lo più manuali, che non coinvolge un professionista per la loro esecuzione. "Fai da te", che sia riferito ad aggiustare un rubinetto che perde, montare un mobile prefabbricato o, in un esempio più vicino a noi, realizzare un intero apparecchio Hi-Fi, ha anche altri significati sottintesi: certamente quello di dilettantesco, spesso di poco rifinito, impreciso, e sempre e in ogni caso quello di risparmio. Mai di qualità. DIY non è una sigla che si applica ai professionisti dell'Hi-Fi, mai alle grandi aziende e mai nemmeno ai grandi artigiani Hi-End, classici tra questi alcuni maestri giapponesi… e se si applica non è per suggerire un apprezzamento, anzi. Eppure anche le insospettabili grandi aziende sono sempre nate dall'idea di un singolo o da un ristretto gruppo di persone. I primi progetti di costoro erano in tutto e per tutto dei DIY. Il primo computer Apple, un esempio tipico del genere, è stato assemblato da due persone, in un garage, su una tavoletta di compensato. Osservando meglio, Il DIYers (chi fa da se) non è un'invenzione di oggi: appartiene in realtà ad una tradizione antichissima, alla stessa storia dell'uomo, all'artigianato autentico. Gli stessi grandi scienziati del passato erano, ognuno a modo suo, dei DIYers. Leonardo, Volta, Edison, Marconi… tutti DIYers. Irriverente? In realtà è un complimento, se si assimila alla parola "DIY" il significato di qualità, di prodotto unico, di originalità. Solo in tempi recenti, quando in pratica tutto o quasi è disponibile per essere acquistato già bello e fatto, questo termine è "rinato" quasi fosse una novità vera, una scoperta di oggi. Impensabile fino a non molti anni fa, esistono negozi, riviste cartacee e siti web specializzati per soddisfare la voglia di DIY. Chi è oggi un DIYers nell'ambito dell'audio? Normalmente non è legato professionalmente a questo settore anche se può avere delle eccellenti competenze tecniche. Non ha a disposizione un reparto di Ricerca&Sviluppo che gli risolve i problemi spinosi, non ha ingegneri che gli consigliano i materiali più adatti, taglia, salda e assembla sempre da solo. Eppure ha un enorme vantaggio, l'unico punto dove il risparmio è reale e si fa davvero sentire: il tempo. Non dovendo pagare il (caro) tempo di un professionista può impiegare il proprio, anche in piccoli ritagli alla volta. Non è legato ad orari, non è legato a scadenze. Deve saper fare un po' di tutto. Saper lavorare il legno e/o i metalli, saper prendere misure precise, saper fare due conti, soprattutto saper essere creativo ed ingegnoso… non facile, in un'epoca che suggerisce di usare sempre meno la propria testa e di rifiutare le sfide con se stessi. Prendendo il coraggio a due mani, rispolverando il proprio ottimismo e verificando che si riesce a piantare un chiodo dritto senza darselo sulle dita, ci si può rivolgere senza troppi patemi d'animo ai kit. In un kit (un kit vero!) è già tutto predisposto, i problemi sono risolti, i pezzi sono tagliati a misura, le istruzioni sono chiare… E' un'ottima scelta, eccellente per iniziare e per farsi venire il gusto al DIY, ma così come i pasti precotti non sono "cucina" (tutt'al più e con molta buona volontà "cibo"), così un kit non è fare da se quanto piuttosto riscaldare quanto già cotto da altri. Ma per carità, è un'ottima scuola, ci sono molte più garanzie che alla fine il cigno o il ranocchio funzioni e in genere i produttori di kit hanno sempre un servizio telefonico, via e-mail o Web per cavar fuori i ragni che sono finiti nei buchi. Inoltre i kit esistono a vari livelli di difficoltà, un po' come i puzzle; ci sono kit anche per costruirsi da se un elicottero vero. Tuttavia e' innegabile che la caratteristica che differenzia il DIY "vero" è il farsi TUTTO da solo. Tutto può arrivare agli estremi di avvolgersi da soli anche i condensatori (si fa pure questo!) ma non intendo suggerire niente del genere. Tutto va invece inteso nel senso di trovare le soluzioni più efficaci ai problemi che si presentano di volta in volta, possibilmente con soluzioni originali e tecnicamente funzionali, dove l'estetica non è fine a se stessa, bensì asservita e amalgamata alla tecnica e al piacevole uso finale: in una parola, questa volta moderna e appropriata, Design. Laddove un kit audio ha già risolto tutti i problemi, dal reperimento dei componenti all'assegnazione degli spazi, all'estetica e, inevitabilmente, al "suono" finale, un oggetto "davvero" DIY nasce senza limiti esattamente prestabiliti, si evolve man mano e spesso è smontato e ricostruito più volte quando le soluzioni trovate si rivelano inefficaci. Una frase ZEN racchiude in poche parole questo processo: "L'opera è compiuta quando l'oggetto ha trovato la sua forma e la mente dell'artigiano riposa". Se un oggetto è realizzato secondo il principio di queste linee guida, il significato originale di risparmio attribuito al "fai da te" comincia ad avere ben poco senso. Lavorare in questa direzione è un amore, una passione in se capace di dare delle enormi soddisfazioni. L'obiettivo è non solo il buon suono finale, ma la soddisfazione di creare oggetti unici, fuori del già visto e dalle grandi serie e che magicamente, alla fine, non solo suonano pure, ma possono arrivare a suonare bene, benissimo. La realizzazione presentata su queste pagine segue in pieno questa filosofia. Il circuito è di Nelson Pass ed è il secondo della serie "Zen" che comprende una nutrita famiglia di amplificatori. Una famiglia intesa non solo come "figli" dello stesso progettista, ma anche nel senso di… parentela tra loro. Zen, Son Of Zen, Bride of Zen, Bride of Son Of Zen… fino alle generazioni più recenti che a scadenza quasi regolare, negli ultimi anni, hanno continuato ad essere presentate sul sito DIY di Mr. Pass. Quest'ultimo, www.passdiy.com, è una miniera di articoli tecnici del patron della Pass Labs e di realizzazioni di autocostruttori documentate anche con una galleria d'immagini che sarebbero un autentico peccato trascurare. Nelson Pass stesso è tra le figure "storiche" più note dell'audio ed una breve ricerca, magari su Internet stessa, può esaurientemente raccontarne i come ed i perchè. Vorrei solo evidenziare come sia l'unico progettista al mondo (e se ci sono eccezioni sarei felice di conoscerle) che continua regolarmente a proporre progetti dedicati al "fai da te" in parallelo ad un'attività commerciale di prodotti Hi-End di fascia elevatissima, fino al punto di aver dato vita e di continuare ad alimentare un sito Internet dedicato esclusivamente al Do It Yourself. Il Son Of Zen, www.passdiy.com/pdf/sonofzen.pdf il progetto scelto, è il più minimalista ed estremo della famiglia Zen sotto molteplici aspetti. Comprende un solo stadio di amplificazione quando la norma è di due, tre, o più; quasi certamente è l'unico caso al mondo di finale a stadio singolo a stato solido. Il circuito stesso è quanto di più semplice si può immaginare, in tutto sette resistenze e due Mosfet, alimentato da una "tradizionale" alimentazione non stabilizzata. Tradizionale (ma non banale) è tra virgolette, non perché non lo sia davvero ma perché ha dimensioni fisiche davvero fuori del comune. |
![]() Condensatori ![]() Particolari costruttivi ![]() Particolari costruttivi ![]() Particolari costruttivi ![]() Particolari costruttivi ![]() Particolari costruttivi ![]() Particolari costruttivi ![]() Particolari costruttivi ![]() Particolari costruttivi ![]() Frontale Ampli ![]() La coppia ![]() In azione |
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Il Son Of Zen (SoZ d'ora in avanti) ha un'efficienza bassissima, intorno al 4%. L'efficienza è il rapporto tra l'energia consumata e quella utile, nel caso di un amplificatore finale quella utile è quella disponibile ai morsetti d'uscita. Questo significa che su 100W assorbiti dalla rete se ne rendono disponibili solo 4. Per tirar fuori 1W dal SoZ, occorre "bruciarne" 25. 5W in uscita richiedono circa 130W di potenza, 50 Watt più di 1200. Per OGNI canale. Il finale lavora (se ne dubitava?) in classe A pura: questa fame di watt deve essere soddisfatta TUTTO il tempo. Si tenga presente poi che la dissipazione indicata è calcolata per un'impedenza di carico di 8 ohm. Per impedenze minori aumenta ancora… non è un amplificatore, è una stufa travestita! Il trasformatore di alimentazione deve quindi essere dimensionato in proporzione, in maniera tale da fornire almeno il DOPPIO dei watt dissipati in continua su un carico di 8 ohm, meglio ancora se è in grado di fornire QUATTRO volte la dissipazione nominale per tener conto anche di carichi particolarmente bassi. Per un SoZ da 50w stiamo parlando di trasformatori in grado di erogare quasi 5Kw per canale… forse è questo il motivo per il quale non si è mai sentito parlare di SoZ reali (costruiti e stabilmente funzionanti) di 50w? I SoZ in genere si assemblano con potenze utili comprese tra 5 e 30w. Si, perché questo circuito può adattarsi ad un'ampia gamma di potenze di uscita cambiando semplicemente il voltaggio dell'alimentazione (e adeguando la "stazza" delle sette resistenze di potenza e dei dissipatori)… anche questa una caratteristica pressochè unica. Il filtraggio di un finale del genere è necessariamente poderoso. Nei finali in classe A, la capacità dei condensatori di filtro non serve tanto a costituire un "serbatoio" di energia, (dal momento che l'energia assorbita a vuoto o a pieno carico è sostanzialmente la stessa) quanto a fornire una corrente continua il più possibile stabile ed esente da rumori di commutazione e da ripple. Bisogna sempre tener presente che in qualsiasi circuito audio la "musica" che esce dal circuito stesso non è altro che alimentazione… "modulata". Tanto più quest'ultima è di qualità, tanto maggiore è la qualità del suono. Quando occorre fornire varie centinaia di watt puliti e continui i problemi da affrontare sono esponenzialmente maggiori, e nel caso del SoZ è tassativo impiegare almeno una cella induttiva di filtro per aiutare e completare il lavoro dei condensatori. Il Son Of Zen nasce con una tipologia bilanciata ed è il complemento naturale del Bride Of Son Of Zen (BOSOZ) il preamplificatore bilanciato della famiglia Zen. Dal momento che non esiste nessun tipo di controreazione, la configurazione bilanciata del finale aiuta non poco a mantenere bassi sia il rumore, la distorsione e l'offset di uscita a patto che i due mosfet di potenza siano selezionati per essere il più possibile identici. Nella documentazione presente sul sito di Mr. Pass è indicata anche la procedura di selezione. Il SoZ può funzionare anche con ingressi sbilanciati, ma la potenza in uscita si riduce ad ¼ ed aumentano rumore e distorsione. Questa versione del SoZ prevede ingressi sia sbilanciati che bilanciati, selezionabili con un piccolo interruttore sul retro, in modo da poterlo interfacciare con una rosa più ampia di preamplificatori....ma in unione al BOSOZ dà veramente il meglio di se. A questo proposito, altra caratteristica unica del SoZ, l'impedenza di ingresso non è fissa ma è possibile sceglierla a piacere ottimizzando così l'interfacciamento con il pre: è sufficiente cambiare il valore di un piccolo resistore all'ingresso. Ora immaginate di mettere insieme dei trasformatori… "poderosi", la notevole capacità di filtro richiesta, le dimensioni esagerate dei dissipatori (per smaltire l'enorme quantità di calore generato) ed è facile rendersi conto come la reale complessità di questo progetto è in massima parte di natura meccanica. In particolar modo, realizzare un SoZ stereo (specie se di elevata potenza) in un contenitore unico rischia di trasformarsi in una cassapanca intrasportabile. Per tutti questi motivi la scelta è stata quella di costruire due SoZ in configurazione mono con una potenza d'uscita di 5W ognuno. In questa realizzazione non esiste un vero e proprio contenitore, la costruzione è di tipo "a vista", permettendo una circolazione dell'aria pervasiva e rendendo la dimensione dell'insieme particolarmente compatta. La "scatola" nasce dall'unione di sette barre piene d'alluminio, fresate e unite tra loro a vite e ad incastro. Le barre stesse, "abbracciano" tra loro i dissipatori che così diventano pareti laterali ed ulteriori elementi meccanici di sostegno. Normalmente il DIYer acquista un contenitore di dimensioni sufficientemente grandi e poi lo popola di componenti. In questo caso è stato fatto esattamente il contrario: sono stati prima acquistati i componenti e solo in seguito è stato costruito loro intorno il contenitore, "cucito" sulla misura dei pezzi stessi. In questo modo ogni dettaglio è stato ottimizzato in funzione di tutti gli altri, sia da un punto di vista estetico che elettrico. Ad esempio, la lunghezza dei cavi di segnale e di quelli in uscita ai diffusori non supera i 10cm, limitando così al massimo ogni possibile disturbo captato dall'interno. I trasformatori sono due, toroidali, resinati e fissati elasticamente sotto la struttura principale, ognuno da 240VA. Tra loro ed il resto della circuiteria è interposta una lastra di alluminio che aiuta a schermarne i già bassi flussi dispersi e offre nel contempo il supporto per i condensatori di filtro. Ogni trasformatore fornisce energia ad un ramo dell'alimentazione duale: di conseguenza anche il ponte raddrizzatore è sdoppiato. Questa soluzione permette ai due raddrizzatori di dividersi il carico, lavorando più a riposo e con una maggior corrente disponibile per caricare i condensatori specialmente se, come nel nostro caso, la capacità complessiva è elevata. Ogni ponte è poi dotato di appositi "snubbers" (piccoli condensatori in parallelo ad ogni diodo) per smorzarne le sovraoscillazioni ad ogni ciclo di carica. In questo modo aumenta il rapporto segnale/rumore dell'alimentazione e si riduce il campo elettromagnetico irradiato all'esterno, diminuendo la possibilità di essere captato per via induttiva dal resto del circuito. La presenza dei trasformatori non è affatto nascosta, ma è volutamente usata come motivo decorativo nel design dell'insieme. L'interno è quasi completamente occupato dai sei condensatori di filtro, degli eccellenti Sikorel da 22.000uf ciascuno (per un totale di 132.000uf), e dalle due induttanze avvolte in aria che costituiscono per ciascun ramo dell'alimentazione le celle Pi Greco di filtro. Le resistenze di potenza (da 50w l'una, corazzate e antiinduttive) e i due Mosfet sono distribuite opportunamente sulle facce interne dei dissipatori. Il cablaggio è interamente in aria, in gran parte solid-core. Tutti questi elementi sono illuminati da alcune file di led blu, nascosti alla vista ed alimentati da un'ulteriore piccola (almeno questa volta!) alimentazione separata. Un altro piccolo stampato ospita il circuito di soft-start, completamente esterno al percorso del segnale. Il soft-start è una gradita aggiunta in qualsiasi circuito che assorbe all'accensione correnti molto forti. L'effetto evidente è di annullare qualsiasi "bump" nei diffusori, ma altrettanto importante è il consentire un'attivazione graduale del circuito, allungando la vita operativa dei componenti che si trovano ad essere così molto meno stressati. Una partenza "soft", infine, non introduce improvvise variazioni di tensione sulla rete elettrica (condizione poco gradita da tutti gli elettrodomestici) che in alcuni casi possono addirittura attivare l'intervento delle protezioni casalinghe. I condensatori sono stati privati della guaina di plastica che li ricopre, facilitando lo smaltimento sia del calore che generano da soli sia quello che assorbono dal contorno. L'alluminio nudo offre anche una superficie riflettente che diffonde meglio l'illuminazione interna e richiama sia nel colore che nella forma le barre d'alluminio del resto della struttura. In buona sostanza, ovunque possibile, ogni dettaglio progettuale che assolve un'esigenza tecnica è valorizzato anche per la sua valenza estetica. Purtroppo lo svantaggio dei condensatori "denudati" è che devono essere isolati elettricamente da tutto il resto, l'armatura esterna coincide con il loro polo positivo. E' stato necessario isolarli su una lastra di plexiglass a sua volta fissata alla piastra inferiore di alluminio per raggiungere lo scopo, una complicazione non indifferente. Il risultato finale, che ha richiesto parecchi mesi per essere portato a compimento, è molto compatto, di apparenza solida ma non "pesante" di linee, nonostante i 17Kg di peso. Consuma come una stufa per dare pochi watt, è semplice ma nello stesso tempo impegnativo da fare, minimalista ma non semplicistico, con un'impronta sonora lucida eppure non graffiante, neutro su tutte le gamme ma niente affatto piatto, con una propria trasparente e dinamica personalità. Un bel riuscito equilibrio d'opposti. Certo 5W sembrano proprio pochi… e lo sono, in senso assoluto! Ma tutto dipende dall'efficienza dei diffusori a cui sono collegati, dalle dimensioni della sala d'ascolto e dalla pressione sonora che si vuole in ultimo ottenere. L'ideale è rappresentato da diffusori di efficienza medio-alta, dai 95db in su, con crossover semplici e con altoparlanti in grado di smorzarsi meccanicamente da soli senza fare affidamento sull'amplificatore… nella mia opinione quello che un buon cono dovrebbe in ogni caso fare, indipendentemente dal resto. Al Top Audio del 2003, nella saletta di VIDEOHIFI, sono stati esposti collegati alle eccellenti "Minus Habens" di Giuliano Nicoletti che "sfoderano" un'efficienza media di 87db. Un accoppiamento sicuramente sconsigliato tenendo conto di quello che abbiamo appena detto sull'efficienza, e che ha lasciato in dubbio fino all'ultimo anche noi stessi data l'oggettiva incapacità dell'accoppiata di poter generare pressioni sonore elevate. Eppure quello che alla fine ci ha fatto decidere è l'evidente sinergia di entrambi in favore del "buon" suono. Ampli e diffusori sono stati in grado di sonorizzare adeguatamente una sala di circa 18mq, spesso e volentieri con una decina e più di ascoltatori. Certo non con livelli da concerto Live, ma con un'eccellente purezza, neutralità timbrica e godibilità generale che ha lasciato piacevolmente sorpreso il pubblico intervenuto, al punto che parecchi partecipanti hanno votato la sala di VIDEOHIFI come la meglio suonante della manifestazione. Quale complimento migliore? Per chi volesse approfondire l'argomento, avere altri dettagli tecnici, l'elenco dei componenti e magari conoscere meglio sia gli altri membri della famiglia "ZEN" che il mondo DIY, rimando di nuovo al sito Internet di Mr. Pass, o per quanto riguarda direttamente questa specifica realizzazione allo stesso autore, EMAIL Roberto Amato |
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